Climax: la danza allucinatoria dei nostri istinti – quella volta che il mio televisore si fece di LSD

Andrea Lombardi

6/1/20226 min read

Quando vidi per la prima volta Climax non mi aspettavo che avrei visto Climax.

Me ne stavo in compagnia di una vecchia fiamma a casa mia, molli molli sul divano alla ricerca di un filmetto da vedere distrattamente. Era una sera d’estate, di un giorno imprecisato – quando d’estate si resta in città e si perde la cognizione del tempo. Le finestre spalancate e il fresco che timidamente ristorava i nostri corpi seminudi. Le buste di Just eat trafugate indegnamente e i resti della vita vissuta nelle ultime settimane, decoravano indistintamente il caos calmo della stanza. Non c’era davvero nulla che potesse turbare la nostra lucida e annoiata quiete.

A chi non è capitato di desiderare un film banale?

Ma non potevamo immaginare che ci si sarebbe infranto addosso un delirio nichilistico di Gaspar Noè. É facile incappare in annose discussioni sul contrasto fra forma e sostanza quando si affronta il cinema del regista argentino. I suoi film sono un connubio tra le due cose. Il linguaggio delle immagini sembra avere il preciso scopo di suggerire allo spettatore l’esperienza sensoriale che la trama porta con se e sembrano avere la volontà di rappresentare uno sguardo alterato. Il punto di vista che ci viene offerto è tutt’altro che neutro. È un punto di vista condizionato. La normale mediazione che avviene fra spettatore e spettacolo, favorito dalla conscia volontà di farsi ingannare dallo schermo, è rafforzata in maniera traumatica dal momento che Noè sembra impadronirsi di tutta la nostra attenzione per poi infarcirla di ultra-sensazioni. La moderazione non è di casa nel cinema di Noè. Tutto ciò che ci viene mostrato ha la funzione di mettere in discussione il nostro senso etico e il nostro voyeurismo. La brutalità delle immagini è caldeggiata dai numerosi riferimenti filosofici – suggeriti nelle prime inquadrature del film – che si annidano con forza centripeta mano a mano che la storia procede. Noè ci permette di apprezzare questo film solo a due condizioni: o ci abbandoniamo al gusto del Sublime, cioè qualcosa che per quanto terrificante è in grado di meravigliarci in tutta la sua nefandezza; oppure stratifichiamo congetture intellettualoidi che rendono il film un saggio sulla natura umana a pieno titolo.


A livello formale è interessante sapere che quasi tutto il film è stato girato senza un copione vero e proprio, e che le sequenze recitate si confondono con quelle liberamente improvvisate, giusto per confermare come Climax sia un film che gioca consapevolmente con i limiti del medium e con la consapevolezza del contrasto fra rappresentazione e realtà. Senza soffermarci sui numerosi riferimenti ben visibili nelle prime inquadrature – presumibilmente la materia su cui si è formata la poetica di Gaspar Noè – credo che l’oggetto di questo film non abbia “forma” poiché parla di spinte insite nell’essere umano che non sono visibili nella normalità. Mentre cercavo di rilassarmi, pur trovandomi immerso nelle semi soggettive e bombardato dalla musica elettronica, avvertivo la sensazione che si parlasse di tutta quella zona d’ombra che si trova a mezza via fra il reale – o la percezione del reale – e la propria dimensione fantasmatica. La sensazione più forte che Climax riesce a restituire è quella del perturbamento: quel sentimento di paura che deriva da qualcosa o qualcuno che viene avvertito come familiare ed estraneo al tempo stesso. La claustrofobia che si respira all’interno del collegio dentro il quale si consuma la psichedelica tragedia, è uno spazio sospeso dal tempo dove le normali leggi della convivenza e dell’etica sono eclissate per lasciare spazio ai più basici istinti primordiali. E non c’è sollievo quando alla fine del film arrivano i soccorsi, anzi. L’irruzione dall’esterno rappresenta uno squarcio traumatico che mette in bella vista quanto di più turpe si è consumato all’interno di quello spazio eterotopico. La riconciliazione con il reale è quanto mai intollerabile.

Vedere Climax è stato come sperimentare un trip di quelli memorabili, catartici. È stato come se qualcuno avesse messo LSD dentro al mio televisore. Se avessi visto un film altrettanto denso dal punto di vista concettuale, ma stilisticamente sobrio, non credo che avrebbe sortito lo stesso effetto. Ho trovato invece molto piacevole sentirmi travolto da un impianto audio-video così tanto saturo di stimoli. Se il montaggio emula il pensiero, se il cinema parla la lingua dei sogni, allora Climax è un bel tentativo di messa in scena di puro materiale fantasmatico, ovvero di materia informe che si annida nei meandri più primordiali del nostro inconscio. Un brodo, dove la natura umana più brutale è ancora intatta.

It’s like the start of 2001, we see the apes and then they evolve into humans, and in the case of my film it is like the humans go back to being apes. Humans are going back to their original forces» – Gaspar Noè su Climax

La memoria storico-culturale del Paese è raffigurata con distacco surreale e per questo ancora più feroce. Questo e altri elementi, accostati tra loro, riflettono l’immagine di una nazione che rimane uguale a sé stessa nonostante le enormità geopolitiche che l’hanno accerchiata, tra nazismo e comunismo, la recente democrazia post-rivoluzionaria e l’ingresso nell’Unione Europea. È il trasformismo usato come bandiera che ha permesso alla Romania di continuare ad esistere e ha creato un paese surreale, dove le glorie del passato e l’ideologia volta al futuro convivono con un presente senza prospettive. La generazione di Radu Jude, ovvero dei figli di coloro che hanno lasciato la Romania e che sono tornati oggi, è in grado di vedere le grandi contraddizioni che abitano la propria casa con uno sguardo europeo ma non sono in grado di combatterle e tantomeno sconfiggerle.

Il capitolo finale, intitolato “Sitcom – Prassi e allusioni”, è un capolavoro di ironia. Emi è arrivata nella scuola dove i genitori dei ragazzi sono già seduti ai loro posti pronti a giudicarla. È qui che tutte le suggestioni raccolte finora trovano sfogo. Distanziati secondo le norme anti-covid, ognuno dei giudici è per questo ancora più enfatizzato nel ruolo stereotipato che ricopre, e come tanti leader d’opinione si esprimono con teorie del complotto e argomentazioni fuori luogo usando come scudo il futuro dei bambini e la morale per celare il proprio imbarazzo. L’argomento centrale del revenge porn non riesce ad essere affrontato con la giusta serietà e viene deriso con battute da liceali. Ma qui viene il bello. Il gioco di specchi messo su da Radu Jude entra in funzione e il processo a Emi diventa un meccanismo secondo il quale a giudicare siamo noi spettatori. Non è il filmino pornografico dell’insegnante ad essere sotto processo. Fra teorie del complotto, negazionismo, accuse di propaganda Lgtbq+/ebraica ed altre castronerie che sembrano esser state tirate fuori dalle peggiori pagine complottiste su Facebook, ad essere messa a nudo è l’incoerenza della natura umana e l’ipocrisia che ne scaturisce. L’oggettività non è altro che un pugno di soggettività condivise. E allora cos’è giusto? La realtà, spogliata di tutte le velleità che la ricoprono, com’è fatta?

L’epilogo ci propone delle soluzioni. Esilarante, certo, ma profondamente frustrato. Nel dubbio, è sicuramente un bellissimo film.

Cinema – We have learned in school the history of the Gorgon Medusa whose face was so horrible that the sheer sight of it turned man and beasts into stone. When Athena instigated Perseus to slay the monster, she warned him never to look at its face but only at its mirror reflection in the polished shield. Following her advise Perseus cut off Medusa’s head.

The moral is that we do not, and cannot, see actual horrors because they paralize us whit blinding fear; and that we shall know what they look like only by watching images which reproduce their appearence. The cinema screen is Athena’s polished shield.” – Capitolo 2 di Follie porno o sesso sfortunato