Conte d’été – Aspettando l’estate


È una bella giornata primaverile un po’ più calda rispetto alle altre, il tepore e il verde intorno ti avvolgono decidi di vedere un film che complimenti ulteriormente l’atmosfera e possa aggiungere al pomeriggio di ozio un elemento narrativo in più, leggero come il tuo umore mentre aspetti per caso che l’estate si manifesti. Hai perso il conto delle volte in cui hai visto “Call me by your name”: i verdi saturi del 35 mm, le scenografie con spazi vasti in dimensione e possibilità, e la bellezza di un racconto intimo, semplice sulla nascita di un desiderio sono i parametri dell’atmosfera di cui sei in cerca. Bene, seguendo il richiamo della Nowstalgia, ti propongo un’alternativa meno artificiosa, sicuramente in pellicola, dove gli slanci cerebrali che muovono i giovani flâneurs della Costa Smeralda bretone si raccontano nella loro spontaneità. Da autentiche speculazioni interiori sulla natura dei sentimenti a disimpegnati esperimenti esistenziali, quelli che tutti noi conduciamo nei momenti di noia, non potremmo che essere più lontani dall’atmosfera inflazionata dell’erotica noia borghese.


In “Conte d’été”, il terzo dei “Racconti delle quattro stagioni” che si inserisce nella linea rohmériana dei film estivi seguiamo Gaspard un giovane “trasparente” a cui, dice, non accade nulla di interessante. La sua permanenza a Dinard, in attesa di Lena, lo porta ad instaurare un’amicizia con Margot, che presto lo spinge tra le braccia di Solène. Gaspard, caratterizzato dall’indecisione, sembra aver scelto di non scegliere e tra Margot, Solène, Lena si lascia guidare ora dalla volontà di una, ora dall’altra, in un tentativo di adottare l’“habitude du hazard”.
Assistiamo così dall’esterno alla formazione di un groviglio inestricabile a opera di un volontario dell’indecisione. Gaspard nella sua incompletezza e frustrazione, crede di imprimere al corso degli eventi gli argini della propria razionalità ma in realtà fatica anche soltanto a entrare in sintonia con l’ambiente circostante e risulta costantemente dominato dai propri impulsi, specialmente quando l’ansia erotica e il desiderio di vicinanza fisica emergono durante le passeggiate con le diverse ragazze. Quando però si sovrappone un problema di percorso e di gestione del tempo (qui, andare o non andare a Ouessant, e con quale delle tre), che gli impone la necessità, sia topografica che morale, di una scelta il demiurgo ambiguo del cinema di Rohmer, sceglie per lui, al termine di un impagabile gioco telefonico incrociato. Se quindi con la parola i protagonisti di Rohmer cercano di celare le proprie intenzioni la cinepresa seguendoli nella loro giornata lascia che la comunicazione tra i corpi si riveli da sé agli occhi di chi guarda, smontando l’assurdità di ogni arrampicata sugli specchi e non lasciando alcun equivoco.


Il piacere di un cinema come quello praticato da Rohmer risiede nel tentativo della scrittura e della regia di incapsulare un leggero ma efficiente equilibrio tra naturalità (nell’apprensione documentaria del contesto balneare) e stilizzazione (nel dialogo e nelle situazioni) così che la finzione risulti autentica quanto la realtà sullo sfondo, come se l’avventura nascesse veramente dalla vita stessa. Il fascino sensibile, epidermico e la meravigliosa disponibilità all’istante, agli incidenti climatici e alle variazioni stagionali dei film di Rohmer accolgono una noncuranza studiata che rende l’indagine etnologica condotta solitamente su tre paesaggi differenti e comunicanti (introspettivo del personaggio, fisico del luogo e culturale) meno formale, più all’insegna della curiosità. Potrete apprezzare come Rohmer sfrutti abilmente una narrazione fluida per coinvolgere lo spettatore in un intreccio apparentemente causale, il cui disegno però è sconosciuto persino al regista. E immergervi con piacere nella disinvoltura strategica del film perfettamente in sintonia con il contesto estivo e le velleità del protagonista. Con Rohmer, più che mai, l’individuo procede “con gli occhi bendati“, un’idea evocativa che riflette la sottile sfumatura di incertezza e scoperta che permea il suo cinema.