“DID SOMEONE CARE ABOUT ME?” DUE SOLITUDINI E UNA LEZIONE D’AMORE


Un alternarsi di emozioni, tensioni, risate e riflessioni: questo è “Léon”, film del 1994 scritto e diretto da Luc Besson, capace di fondere due anime senza radici in un mondo spietato e senza umanità. Con una serie di primissimi piani il regista francese inquadra per la prima volta Léon, cinico sicario e protagonista del film, mentre è coinvolto in una conversazione con il mandante del suo prossimo “lavoro”. Léon indossa un paio di occhiali da sole piccoli e tondi. Le inquadrature ravvicinate su di essi trasmettono il tono misterioso del personaggio, il suo desiderio di voler nascondere la propria identità e passare in secondo piano.
In seguito ad una scena travolgente e carica di tensione in cui Léon porta a termine la propria missione, la frenesia dell’action viene spezzata dall’incontro con Mathilda: una bambina che vive nello stesso palazzo del sicario. Una musica dolce, fortemente in contrasto con l’incipit violento del film, fa da sottofondo all’interazione tra due esseri umani che sembrano tanto diversi da fuori ma che in realtà si troveranno, di lì a poco, a condividere la stessa solitudine. La vita di Léon è metodica, controllata e programmata: segue le stesse abitudini, tiene in ordine la casa, si allena e non beve alcolici; al contrario, Mathilda vive in un caos familiare in cui la madre è costretta prostituirsi, mentre il padre, violento con lei, è coinvolto in un giro di droga. Tra le pieghe del film emerge un dialogo tra i due che racchiude in poche battute la crudezza della crescita in un contesto corrotto e la disillusione adulta in merito alle ingiustizie del mondo:
Mathilda: Is life always this hard, or is it just when you're a kid?
Léon: Always like this.
Le traiettorie di queste due esistenze si intersecano definitivamente quando Norman Stansfield, psicopatico agente della DEA, decide di fare irruzione nella casa di Mathilda al fine di recuperare una partita di stupefacenti che era stata affidata al padre della ragazza. L’operazione di recupero sfocia in un bagno di sangue in cui tutta la famiglia viene massacrata, ad eccezion fatta di Mathilda che si salva poiché appena uscita a fare la spesa. Sulle note tese, melodiche e drammatiche di “What’s happening out there?”, la ragazzina ritorna a casa, passa davanti all’ingresso e intravede il corpo esanime del padre riverso a terra. Si finge indifferente davanti al massacro per non destare sospetti e decide di suonare alla porta del sicario in cerca di un rifugio. La scena, grazie alla musica carica di tensione e all’interpretazione magistrale di un’appena undicenne Natalie Portman, esprime la disperazione di un personaggio a cui è stato tolto anche quel poco di vita che gli era rimasto.
Léon accoglie nel suo appartamento Mathilda; la bambina è in lacrime per la perdita del fratellino, che si rivela essere l’unica persona a cui lei tenesse veramente. In questa occasione la corazza del freddo e spietato sicario si spezza per la prima volta: indossa un guanto a forma di maiale e, animandolo come se fosse un burattinaio, è in grado di strappare un sorriso alla bambina. Léon è inizialmente riluttante all’idea di prendersi cura di lei, ma allo stesso tempo non può lasciarla da sola in quel mondo spietato che non lascia spazio alle debolezze.
Léon: I work alone […]. Why are you doing this to me? I’ve been nothing but nice to you. I even saved your life yesterday, right outside the door.
Mathilda: Right. Now you’re responsible for it. If you saved my life you must’ve saved it for a good reason.


I battiti di queste due anime solitarie cominciano lentamente a sincronizzarsi e il legame tra loro inizia a prendere forma. Mathilda, desiderosa di vendetta, inizia a seguire Léon nelle sue missioni, improvvisandosi sua assistente e ascoltando i suoi insegnamenti riguardo a come usare le armi e muoversi in situazioni pericolose. Si plasma così un rapporto simbiotico in cui, mentre lei insegna a Léon a leggere e a scrivere, finisce anche per adottare le abitudini di lui, quali l’allenamento e il consumo assiduo di latte. Le musiche a tratti sognanti di Éric Serra accompagnano le scene in cui i due, sospesi tra un momento di rigida tensione e l’altro, si prendono il tempo per giocare e vivere con leggerezza alcuni istanti della loro esistenza.
Léon comincia a manifestare atteggiamenti paterni, rivelandosi molto protettivo nei confronti di Mathilda: quando la intravede fuori da un locale intenta a fumare e a chiacchierare con un ragazzo la rimprovera per il suo comportamento. “Listen Mathilda, you better be careful. You can’t just speak to any guy off the street [...]. I want you to stop cursing. I want you to make an effort to talk nice. And I want you to stop smoking. It will kill you.” Per la prima volta la ragazzina riconosce che qualcuno sta provando un affetto sincero nei suoi confronti e percepisce che si sta formando un legame in cui sente di essere davvero amata. Idealizzando il concetto di “amore”, decide di confessare le sue sensazioni.
Mathilda: Leon, I think I'm kinda falling in love with you. It's the first time for me, you know?
Léon: How do you know it's love if you've never been in love before?
Mathilda: 'Cause I feel it.
Léon: Where?
Mathilda: In my stomach. It's all warm. I always had a knot there and now... it's gone.
Léon: Mathilda, I'm glad you don't have a stomach ache any more. I don't think it means anything.
Luc Besson, con il suo stile ironico, drammatico, cinico e comico allo stesso tempo, riesce a conferire un tono realistico e allo stesso tempo giocoso alle interazioni tra i due. Persino nella scena in cui Léon istruisce Mathilda su come colpire un uomo per ucciderlo, la regia alterna momenti di tensione e leggerezza che riescono a dare al film un ritmo incalzante e un tono riflessivo. Gli scambi di battute non risultano mai banali e con il procedere del racconto si percepisce un’evoluzione del rapporto, che permette di mettere in gioco le sensazioni di entrambi: ogni pensiero viene interiorizzato dall’altro nonostante le ferite del passato e ogni emozione espressa viene accolta e considerata.
Per la prima volta vediamo gli occhi di Léon bagnarsi di lacrime malinconiche quando racconta a Mathilda di come ha perso il suo primo e unico amore. La relazione potrebbe apparire ambigua in alcuni momenti e in parte è inevitabile che lo sia: innanzitutto il divario anagrafico tra i due è importante e lei, ancora bambina, proietta su Léon un’idea platonica e ingenua dell’amore, frutto della sua giovane età e della solitudine in cui vive. Non possiede gli strumenti necessari a distinguere amore romantico e affetto; per questo adotta, nei confronti di Léon, atteggiamenti provocanti e seduttivi, che rappresentano le uniche modalità da lei conosciute e apprese probabilmente guardando i film e la televisione. L’evidente e intuibile mancanza di un’educazione affettiva le ha impedito di sviluppare una consapevole maturità emotiva.


La parte conclusiva dell’opera è caratterizzata dall’assalto all’appartamento dei due protagonisti da parte delle squadre speciali di polizia guidate da Norman Stansfield, desideroso di vendetta dopo che Léon ha ucciso uno dei suoi uomini più fidati durante un “lavoro”.
Mathilda: I don't wanna lose you, Leon.
Léon: You're not going to lose me. You've given me a taste for life. I wanna be happy. Sleep in a bed, have roots. And you'll never be alone again, Mathilda. Please, go now, baby, go. Calm down, I'll meet you at Tony's in an hour, I love you, now go, go now.
Il brutale e furioso assalto costringe Mathilda a scappare, mentre Léon tenta di fuggire dall’edificio confondendosi tra gli agenti di polizia. Giunto a pochi passi dall’uscita, quindi prossimo alla salvezza, viene colpito alle spalle da Norman. Prima di morire riesce però a vendicare la ragazzina innescando una serie di granate legate al proprio corpo, causando un’esplosione che ucciderà entrambi gli uomini.
Nella scena finale del film, Mathilda interra la pianta di Léon – quella che lui riteneva essere la sua migliore amica, silenziosa e senza radici proprio come lui. La relazione tra i due personaggi, nata dalla solitudine e sviluppatasi nella condivisione, trova la sua completa realizzazione nell’idea di cura reciproca: il mentore impara dall’allieva la possibilità di “avere radici” e riesce a dare un senso alla propria esistenza; l’allieva eredita da lui il coraggio di vivere e di lottare contro le crudeltà del mondo.
Giacomo Amari
