La recensione di Joker: Folie à Deux. Un sequel davvero necessario?
Uno dei film più attesi dell’81esima Mostra del cinema di Venezia, e a breve in uscita al cinema, era senza dubbio Joker: Folie à Deux, il sequel di quel Joker che nel 2019 aveva incantato il Lido di Venezia vincendo il Leone d’Oro e diventando un instant cult amatissimo da critica e pubblico. E nonostante un po’ di lecito timore che sempre si nutre nei confronti dei sequel dei grandi film, le aspettative per questo secondo capitolo erano (sono) molto alte: d’altronde l’idea di Lady Gaga che interpreta Harley Quinn in un film musicale, sulla carta, funziona eccome.
Ecco, prima di entrare nel merito del film visto in anteprima a Venezia, occorre fare una premessa importante. Joker: Folie à Deux porta sulle sue spalle non solo il peso di far seguito a un grandissimo primo capitolo, ma anche quello di aver sfruttato, ancor prima di venire alla luce e suo malgrado, uno dei fenomeni che più caratterizzano l’industria dell’intrattenimento nel nostro tempo, vale a dire l’hype. L’attesa alimentata dalle news centellinate sul web, la smania di intercettare rumors per nutrire discussioni tra fan, i trailer che mostrano sempre troppo, tutti quei “non vedo l’ora” a ogni nuova locandina rilasciata. In uno scenario simile, quando il film arriva in sala, ormai, il pubblico ha un’idea piuttosto precisa di ciò che vorrebbe vedere, o almeno delle sensazioni che vorrebbe fossero evocate sullo schermo, e il rischio di restarne delusi c’è, e si fa sentire. E questa volta, bisogna ammetterlo, ci siamo cascati anche noi. Ma andiamo con ordine, perché Joker: Folie à Deux, purtroppo, al di là del fardello dell’essere un sequel, ha diversi elementi che non funzionano.
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L’apertura del film è forse il suo momento più alto: un cortometraggio animato in stile Looney Toones dove Joker (il sempre straordinario Joaquin Phoenix) lotta con la sua ombra mentre sta per entrare in scena ed esibirsi davanti al suo pubblico. In questi pochi minuti è racchiuso probabilmente tutto ciò che Todd Phillips voleva raccontarci con questo secondo capitolo, ossia il conflitto interiore di Arthur Fleck, spaccato a metà tra la volontà di reprimere la sua indole omicida e la soddisfazione nell’essere finalmente notato da tutti, dopo una vita trascorsa in penombra, ai margini della società. La storia, poi, riprende dal momento in cui l’avevamo lasciata: Arthur, accusato di cinque omicidi, è nel manicomio di Arkham in attesa di essere processato. A una lezione di canto incontrerà Harleen “Lee” Quinn (Lady Gaga), una donna internata per infermità mentale che pare aver sviluppato una sorta di ossessione per Joker, come i tanti altri emulatori che popolano le strade di Gotham. I due si innamorano – aspetto che trova spazio soprattutto nei momenti musicali – e Lee funziona come della benzina sul fuoco, cercando di alimentare costantemente il lato folle e criminale di Arthur. Peccato che, in fin dei conti, questo fuoco non divampa mai.
Iniziamo col dire che il personaggio di Lee / Harley Quinn, purtroppo, non è incisivo come il ruolo richiederebbe: Lady Gaga non brilla particolarmente, ma ancor più problematica ne è la scrittura. Non vi è un briciolo di approfondimento, non conosciamo il suo passato, non sappiamo praticamente nulla di lei, se non che, appunto, abbia perso la testa per Joker e le sue gesta criminali – aspetto che fa sì che il loro legame sia poco credibile e poco impattante. Per altro, la maggior parte dei momenti in cui assistiamo alla coppia Quinn / Joker sono quelli cantati, e nemmeno in questo caso scatta la scintilla. I brani non restano particolarmente impressi, non aggiungono significato alla storia e, a lungo andare, rischiano di annoiare lo spettatore. Si ha quasi l’impressione che i frequenti intermezzi musicali vadano a interrompere il flusso della narrazione, e in molti casi sembrano scene a sé stanti che, per come sono costruite, si potrebbero interpretare come un bel fan service al pubblico di Lady Gaga. Da un musical che possa essere considerato tale, insomma, ci si aspetta che le scene musicali siano ben dosate e ben amalgamate con il resto; qui, invece, molte di queste scene appaiono del tutto scollate dalle altre.
Essere o non essere Joker? Questo è il dilemma


E di Arthur, invece, oltre questo innamoramento folle, cosa resta? L’idea di focalizzarsi sulla sua interiorità è interessante: l’obiettivo potrebbe essere quello di decostruire il personaggio che avevamo conosciuto (e amato) nel primo film, per mostrarci come un uomo così fragile e squilibrato possa fare i conti con se stesso dopo aver commesso dei crimini efferati. Chi ha ucciso quelle persone? Joker, in un momento in cui Arthur era totalmente dissociato dalla realtà, o lo stesso Arthur Fleck, perfettamente lucido, ma ormai arrivato a un punto di non ritorno? E’ ciò che si chiedono difesa e accusa durante il processo ed è ciò che probabilmente si continua a domandare anche Arthur. Il rischio, tuttavia, è quello di restare troppo ancorati a questo tipo di riflessione – dove, per altro, non si forniscono informazioni aggiuntive rispetto al primo film – senza mai dare spazio all’azione del personaggio. I luoghi della narrazione sono principalmente due: il carcere e il tribunale, e le scene musicali, seppur collocate spesso nella dimensione astratta del sogno, non danno alla messa in scena quel respiro di cui avrebbe bisogno. Sembra tutto troppo statico, e pare essersi persa anche la cupa e bellissima rappresentazione di Gotham City che ci aveva regalato il primo film, tra fermate della metropolitana dimenticate da Dio e putridi, angusti, bagni pubblici (tornerà, almeno, l’iconica scalinata nel Bronx).
Forse Joker: Folie à Deux è il sequel che ci meritiamo


Va detto, comunque, che il comparto visivo mantiene un livello qualitativo molto alto. L’utilizzo che si fa della fotografia rispetta e mantiene le atmosfere del primo capitolo ma saturando il colore in diversi momenti cantati, dando vita a un ottimo gioco di contrasti tra la dimensione del reale e quella della fantasia. Una bella confezione, quindi, per un film che è però poco denso di contenuto. L’impressione è quella di trovarsi davanti a una storia che non spicca mai il volo, dove i personaggi non evolvono e dove non si arriva mai al punto. Joaquin Phoenix ci regala nuovamente una performance degna di nota, eppure anche lui sembra essere sotto tono rispetto al primo film.
Verdetto finale: Joker: Folie à Deux non era un sequel necessario. A meno che… A meno che, il regista Todd Phillips e compagnia bella non si siano volutamente presi gioco del loro pubblico che, proprio come Harley Quinn, ha da sempre idealizzato questo personaggio, eleggendolo, seppur in modo fittizio, a idolo delle masse, dedicandogli travestimenti a tema, e così via. Il pubblico che non avrebbe apprezzato nessun tipo di film se non quello che aveva già in mente. Un pubblico a cui del povero Arthur Fleck, ormai, non importa più nulla, proprio come a tutta la comunità di Gotham City. Un pubblico che voleva vedere un’intera città a fuoco e fiamme per mano di un essere umano fragilissimo e la sua amante squinternata e che, invece, ha ottenuto tutt’altro. Una gran bella pernacchia a quella cultura dell’hype che oggi tanto ci influenza e forma il nostro gusto. Chissà. Probabilmente no, questo secondo Joker è solamente un sequel poco riuscito e che poteva giocarsi molto meglio le proprie carte. Eppure ci piace pensare che non si tratti soltanto di un’occasione sprecata. Se volete scoprirlo, Joker: Folie à Deux vi aspetta in sala da giovedì 2 ottobre.