Les Parapluies de Cherbourg. Il capolavoro di Jacques Demy al Cinema Ritrovato di Bologna


Bologna. È una serata caldissima di fine giugno e Piazza Maggiore è piena di gente. Gli occhi degli spettatori rivolti tutti nella stessa direzione, quella del grande schermo allestito in occasione del festival de Il Cinema Ritrovato. Sarà proiettato Les Parapluies de Cherbourg, capolavoro di Jacques Demy Palma d’Oro a Cannes nel 1964, nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Lo introduce Damien Chazelle affiancato da Rosalie Varda, figlia di Demy e Agnes Varda.
Chazelle, visibilmente emozionato, racconta al pubblico di come sia rimasto colpito sin da giovanissimo da Les Parapluies de Cherbourg, che definisce il suo film preferito di sempre. “E’ un perfetto esempio di cinema come sintesi di tutte le arti”, afferma: “musica, pittura, danza, letteratura, poesia, tutte che convergono in un’unica idea e da cui è impossibile estrarle singolarmente”. D’altronde, il giovane regista statunitense deve moltissimo al cinema di Demy, le cui influenze ritroviamo soprattutto in La La Land, sia per la messa in scena dai colori iper saturi, sia nella malinconia della storia dei due protagonisti, Mia e Sebastian. Il comparto visivo dell’opera di Demy, come accade di consueto nel suo cinema, è effettivamente incredibile: ciascun fotogramma è costruito con un’attenzione al dettaglio non comune e l’utilizzo del colore è miracoloso. Succede spesso, ad esempio, di notare che i costumi dei protagonisti siano “in palette” con altri elementi della scena, o che si lavori sulle simmetrie, andando a creare un’armonia delle immagini sostanzialmente perfetta.


Come in La La Land, anche in Les Parapluies de Cherbourg, film interamente cantato (ma mai ballato), microcosmo unico a metà strada tra musical e opera, seguiamo la storia di due giovani innamorati, Geneviève (una splendida Catherine Deneuve) e Guy (Nino Castelnuovo), che saranno presto costretti a separarsi. Geneviève lavora con la madre nel suo negozio di ombrelli – i parapluies del titolo – mentre Guy in un’officina, sognando di aprirne una tutta sua. I due si amano moltissimo (il je -t’aime -Guy di Catherine Deneuve di una delle prime sequenze si fa fatica a scrollarselo di dosso), in un modo quasi esasperato, ma Guy sarà costretto a partire perché chiamato alle armi in Algeria. Poco dopo Geneviève scopre di esserne rimasta incinta e la separazione tra i due si rende ancora più straziante. Pian piano, il peso dell’assenza inizia a farsi sentire, lo scambio epistolare si fa meno frequente e Geneviève, sotto consiglio della madre, finirà per sposare un facoltoso venditori di gioielli. Guy, dal canto suo, sceglierà di mettere su famiglia con la dolcissima Madeleine, ex infermiera della defunta zia.
Les Parapluies de Cherbourg è un film con cui vale la pena di entrare in sintonia sin da subito, senza cedere a preconcetti del tipo: ma come, cantano e basta? Sì, tutti i dialoghi del film sono cantati e per certi versi questo potrebbe far storcere il naso, o meglio, le orecchie, a quella categoria di spettatori a cui non piacciono i musical perché ci sono “troppe canzoni”. In questo caso non si tratta nemmeno di canzoni vere e proprie, e inizialmente si potrebbe far fatica a familiarizzare con il tono melanconico con cui prima i protagonisti si promettono amore eterno, e poi esprimono la sofferenza data dalla lontananza. Eppure il racconto gode di un’armonia tutta sua, dove il canto si rende lo strumento migliore per portare avanti la narrazione, che viene intrisa di atmosfere nostalgiche dalle parole dei due innamorati. Per quanto sia tutto volutamente artificioso (indimenticabile la scena in cui Genevieve e Guy sono visibilmente trasportati da un carrello), lo strazio che deriva dalla separazione di queste due anime giovanissime appare tangibile e credibile. Lo si percepisce nei grandi occhi verdi della splendida Catherine Deneuve, come nello sguardo perso di Castelnuovo, quando il suo personaggio si chiede come sia possibile che in così poco tempo lei lo abbia dimenticato e abbia sposato un altro uomo.


Les Parapluies de Cherbourg, con una storia semplicissima, ci pone di fronte a un interrogativo antichissimo, eppure ancora estremamente attuale: cosa succede all’amore quando ci sono la vita e le sue vicissitudini a interferire con esso. Dove se ne va quel legame che sembrava così potente? Potrà mai davvero svanire del tutto? E così, mentre ci chiediamo se il romanticismo può esistere e resistere nelle nostre vite moderne e pragmatiche di cui ogni aspetto deve essere in qualche modo utile o redditizio, Demy sceglie di dedicare l’ultimo atto del film – dopo la partenza e l’assenza – al ritorno. Genevieve e Guy si incontreranno un’ultima volta nell’officina di lui, durante una fredda serata pre natalizia. E quell’ultimo scambio di sguardo c’è tutto, tutti quei mi sei mancato tanto all’inizio, è stato terribile, chissà cosa saremmo ora se tu non fossi partito, chissà cosa saremmo se tu mi avessi aspettato. Arrivati a questo punto chi lo sa più se sono i pensieri dei protagonisti quelli che sentiamo scricchiolare nella testa, o se sono i nostri. Il film di Jacques Demy, come ogni grande storia, sa come entrare in sintonia con lo spettatore, lo accoglie, lo abbraccia, e al momento dei saluti gli lascia quel tipico sapore dolce amaro, variegato alla nostalgia.