Marmalade e l’illusione di una fuga

Laura Piatti

7/7/20252 min read

Con Marmalade, l’esordio alla regia di Keir O'Donnell, ci si ritrova immersi in un’estate perpetua di sogni rubati e promesse di libertà, dove l’asfalto rovente e i diner anonimi della provincia statunitense diventano lo scenario di una fuga che, fin dall’inizio, sembra un sogno destinato a svanire. Il film, visto in anteprima al Milano Film Festival, racconta un crime romance dal sapore nostalgico: Baron, un’apparente bravo ragazzo che sacrifica tutto per prendersi cura della madre malata, interpretato da Joe Keery, si ritrova in prigione dopo una rapina fatta per scappare via con la nuova fidanzata Marmalade, interpretata da Camila Morrone. La ragazza sembra incarnare tutto ciò che egli desidera ma non potrà mai davvero avere. Bellezza, tenacia, carattere, follia e intraprendenza: Marmelade appare come la figura salvifica dalla monotonia e delusione in cui Barron è immerso.

Baron inizia a raccontare la sua storia al compagno di cella Otis, interpretato da Aldis Hodge, ma fin dall’inizio c’è una strana patina di assurdità che avvolge tutto. E’ proprio questa assurdità di superficie a rivelarsi, presto, l’inganno che muove tutto il film. La sceneggiatura si affida a trovate narrative che funzionano solo a metà: flashback, confessioni in cella, colpi di scena annunciati troppo presto e personaggi che si reggono solo sulla loro apparenza. Marmelade aspira a essere una musa criminale, ma finisce per restare legata a un’immagine di femme fatale di provincia: affascinante, ma forse non abbastanza approfondita. Il risultato è un film che somiglia a un lungo videoclip estivo, ricco di atmosfera e di suggestioni visive, ma che a tratti fatica a trovare una vera profondità. L’illusione di fuga, che dovrebbe alimentare la tensione della storia, si perde sotto il peso di cult come True Romance (1993), senza riuscire a rinnovarsi. L’estetica molto forte e la colonna sonora incisiva accompagnano molto bene il racconto, ma il ritmo a volte rallenta proprio quando dovrebbe accelerare, lasciando i dialoghi sospesi in frasi che vorrebbero scavare a fondo ma che talvolta scivolano via.

Il film è però capace di evocare un’estate di polvere e sogni di contanti facili, intrisa di malinconia e di quella nostalgia di libertà che rende il viaggio più importante della meta. Ci sono intuizioni visive che colpiscono, momenti di tenerezza inattesa, ma manca quel graffio in più che avrebbe potuto spingere la storia oltre la sua superficie zuccherina, mostrando il lato più crudo e autentico del desiderio di scappare. Il racconto lascia intravedere una riflessione amara sulla giovinezza e sulle bugie che ci raccontiamo per sentirci liberi. Una marmellata lasciata sotto il sole di luglio: dolce al primo assaggio, ma destinata a sciogliersi piano, lasciando dietro di sé un retrogusto di sogno incompiuto.