Quando arte e vita coincidono: intervista ad Alain Ughetto

Scritto da Francesca Pascale

Traduzione a cura di Manon Morin

5/5/20253 min read

Durante le giornate degli Stop e-Motion Days abbiamo avuto il privilegio di incontrare Alain Ughetto, regista francese e maestro riconosciuto della stop-motion. L’incontro si è svolto in un luogo simbolico, il Museo del ’900 (M9), uno spazio che racconta la storia del secolo scorso attraverso linguaggi innovativi, proprio come fa il cinema di Alain Ughetto. È stata l’occasione per immergerci nel suo universo creativo, dove la memoria personale si intreccia con la materia, e il racconto prende vita attraverso l’animazione hand made.

Alain Ughetto ha realizzato opere che sono veri e propri atti d’amore verso il passato e le sue radici familiari. Nel suo lugometraggio Manodopera (Interdit aux chiens et aux Italiens) ripercorre la storia della propria famiglia, emigrata dal Piemonte verso la Francia all’inizio del secolo scorso. Con uno stile unico, poetico e profondamente umano, il regista riesce a trasformare oggetti semplici e materiali quotidiani – come broccoli, carbone e castagne – in elementi narrativi e scenografici carichi di significato. È attraverso questa dimensione artigianale che la stop-motion, nelle mani di Alain Ughetto, si fa linguaggio intimo e plurale al tempo stesso.

Nel corso dell’intervista, il regista ci ha raccontato il suo rapporto con la tecnica d'animazione in stop-motion, tanto affascinante quanto complessa, rivelando le ragioni profonde che lo spingono a preferirla al digitale, ma anche le nuove direzioni che sta esplorando per i suoi futuri progetti.


1. Nel tuo Manodopera (Interdit aux chiens et aux Italiens) usi la tecnica d'animazione in stop-motion per raccontare una storia molto personale ed emotiva. Cosa ti permette di esprimere questa particolare tecnica cinematografica rispetto ad altre meno artigianali?

Alain Ughetto: La stop-motion è una tecnica che si è naturalmente intrecciata con il contenuto del film. Mio nonno e mio padre erano entrambi uomini di mestiere, lavoratori manuali. Scegliere di raccontare la loro storia con una tecnica manuale come la stop-motion è stato, per me, un gesto coerente e profondamente simbolico. È come se, animando gli oggetti con le mani, io potessi rendere omaggio al lavoro delle mani delle generazioni che mi hanno preceduto. È un modo di far rivivere quella manualità, di tradurla in un linguaggio artistico. Il cinema dal vivo ha altre forze, ma non avrebbe avuto lo stesso potere evocativo, quasi tattile, che la stop-motion possiede in questo caso.

2. Realizzare un film in stop-motion richiede molto tempo e pazienza. Come riesci a mantenere l’intensità emotiva durante il processo creativo, nonostante i lunghi tempi di lavorazione e un occhio sempre attento e chirurgico ad ogni singolo dettaglio?

Alain Ughetto: Quando si racconta una storia che ti appartiene profondamente, come quella della tua famiglia, l’emozione resta sempre viva. È una forza che non si spegne con il tempo. Durante la realizzazione di Manodopera, ogni dettaglio sul set – dal cibo alla scenografia – mi riportava indietro, ai ricordi tramandati dai miei nonni. I broccoli che diventano alberi, le castagne usate sia come cibo che come elementi del paesaggio: ogni elemento materiale aveva un doppio valore, simbolico e narrativo. Anche l’odore del carbone, che impregnava il set, riportava alla mente la fatica e la dignità del lavoro. L’intensità emotiva nasce proprio da questi oggetti semplici, carichi di memoria.

3. Attualmente nel panorama cinematografico la maggior parte dell’animazione viene sviluppata in digitale, nonostante ciò le tue opere sono caratterizzate da un approccio che utilizza materiali reali e fatti a mano. Continuerai su questa strada o hai voglia di sperimentare altri tipi di tecniche di animazione?

Alain Ughetto: La stop-motion resta la mia tecnica del cuore, perché permette un contatto diretto con la materia, con gli oggetti reali. Lavorare con le mani mi dà un senso di presenza, di coinvolgimento profondo. Anche la luce, quando illumina un oggetto vero, crea una magia che il digitale fatica a riprodurre. Tuttavia, sono curioso e aperto alla sperimentazione. Il mio prossimo progetto sarà realizzato in 3D, perché la storia lo richiede: è meno intima, meno radicata nella mia esperienza personale, e quindi sento meno il bisogno di utilizzare un approccio manuale. Ma anche nel 3D cerco di ritrovare un certo tipo di artigianalità. Se potessi, mi piacerebbe collaborare con artisti e tecnici molto competenti, capaci di fondere sensibilità artigianale e innovazione digitale.


Un fotogramma da Jasmine (2013)

Foto dell'intervista durante i SeM Days

Un fotogramma da Manodopera -Interdit Aux Chiens et Aux Italiens (2022)