The Lobster: una riflessione amara sull’amore

Indjia Sturaro

5/13/20244 min read

Se si vuole evadere dalla commedia romantica, a volte troppo smielata e kitsch, allora il film The Lobster (2015) di Yorgos Lanthimos fa proprio per te. Tuttavia, non tutti potrebbero digerire una verità amara e dura da fare i conti celata dall’ironia distopica dissacrante del regista greco. Questo capolavoro del regista greco racchiude al suo interno una distopia piena di echi orwelliani, caratterizzata da una fotografia nitidissima, sapientemente calibrata e mirata alla critica della società contemporanea globale. Anche la palette cromatica, tendente al grigio, accentua la tragicità e il grottesco dell’umanità moderna.

La storia si apre con David, interpretato da un magistrale Colin Farrell, il quale avendo perso la moglie e vivendo in una società dove è vietato essere single, viene trasferito in un hotel fuori città. Lui, così come gli altri ospiti dell’albergo, ha 45 giorni per trovare l’anima gemella, altrimenti verranno trasformati in animali di loro scelta, come l’aragosta per David, animale da una forte carica simbolica per il protagonista, che viene associato alla longevità e al suo amore per il mare. Al suo ingresso, dopo aver fatto una scrematura sulla sua situazione sentimentale, gli viene fornito di vestiti monocromi e deve affrontare delle battute di caccia alla siringa ipodermica nella foresta, in cui gioca la sua sopravvivenza e permanenza all’hotel.

Già dalle prime scene, si può percepire come i personaggi sembrano alienati, impossibilitati dalle stesse regole dello stabilimento, di potersi lasciare andare alle pulsioni sessuali più istintive, le quali vengono “placate” dalle cameriere, e il galà di ballo in cui sono previste pene per chi le diserta. È possibile cogliere la critica del regista del mondo odierno, in cui gli esseri umani sono costantemente pressati nel trovare un partner. Quest’ultimi si trovano ad avere le opzioni di scegliere o scartare dei potenziali “love interests”, un meccanismo che rievoca moltissimo le app di incontro come Tinder, oppure format televisivi basati sulla ricerca di un’anima gemella, come Love Island, con la conseguenza di annichilire la propria individualità e reali necessità, andando a voler conformarsi agli ideali sociali. Per questo, le scene di ballo, l’assemblea tenuta quotidianamente, ma lo stesso ambiente circostante di David alludono ad un culto, caratterizzato da regole e norme stringenti da seguire, ahimé, sembra essere una metafora dei nostri tempi, di una pressione esercitata dai media e dai preconcetti arcaici delle stesse persone, che magari ci è capitato di sentire quando queste ci sollecitano nel dover trovare un moroso/morosa e di farlo in breve tempo, se no si finiva soli. Quante volte abbiamo dovuto affrontare discorsi del genere? Credo che tanti di noi giovani ne abbiamo sentiti e ne abbiamo abbastanza.
Anche quando David trova momentaneamente il suo primo match, “la donna senza cuore”, la sua non è una scelta sentita e per questo decide di scappare, aiutato da una cameriera. Tale azione permette al regista di introdurre lo spettatore alla seconda parte del film, ossia il suo inserirsi nel gruppo dei Solitari, una società rivoluzionaria che viveva nella foresta. Poco dopo si rivela autoritaria, dai tratti quasi di una setta, e spietata tanto quanto quella da cui lui era fuggito, in quanto in quel frangente intreccia una relazione clandestina con la sua vera anima gemella, “la donna miope”, interpretata dalla brillante Rachel Weisz. Se il loro amore inizialmente sembra essere passionale, dettato da un sentimento puro, in seguito diventa un rischio per la loro stessa vita, lasciando delle conseguenze irreversibili.

La scena più bella, a mio avviso, è quando David e la donna cieca iniziano a scambiarsi effusioni davanti alla leader del gruppo con lo sottofondo del violino durante una giornata in città, emblema dei compromessi della vita di coppia. È bellissimo vedere come entrambi vengono colti dalla passione più profonda e dall’ardore dell’amore a ritmo della stessa musica, man mano che le note si fanno più acute e il ritmo più incalzante. Tuttavia, subisce una battuta d’arresto con la scoperta del rapporto clandestino da parte della leader, la quale ordina di far accecare l’amante di David, con ricadute sul loro stesso rapporto e al loro progressivo allontanamento. Un allontanamento dovuto all’incomunicabilità che si crea tra i due e che vede David disperato nel poter salvare il ricordo e ciò che ne era rimasto. L’unica soluzione per lui sembra essere quella di fuggire in città con lei, per poter ricucire un rapporto agli occhi nostri agli sgoccioli.

I minuti finali vedono David in bagno che tenta di accoltellarsi l’occhio, tentando così di voler sacrificare la sua stessa vita. Tuttavia, Lanthimos non ci dà alcun tipo di allusione se l’abbia veramente fatto, lasciando lo spettatore con numerosi interrogativi se l’abbia fatto davvero e se sì per vero amore o per non rimanere solo. Oppure se sia fuggito da una relazione che era diventata, in parte, obsoleta e che lo avrebbe voluto la sua società distopica. Di conseguenza, siamo lasciati, come la stessa donna miope, in una lunga attesa, in cui gli interrogativi aumentano sulla possibile scelta di David.

A mio avviso, il film può essere odiato o amato, oppure è possibile nutrire entrambi sentimenti quando lo si guarda. Ciò che è innegabile, però, è la quantità di quesiti e riflessioni che potrebbero rivelare verità scomode che Lanthimos pone sulle nostre scelte riguardo all’amore: lo cerchiamo perché lo desideriamo veramente o per convenienza? Oppure per compiacere la società e le pressioni che questa esercita attraverso i media e le convinzioni con cui siamo cresciuti? La nostra ricerca dell’amore è sincera oppure dettata dalla paura della solitudine? E soprattutto, amare significa assecondare l’altro e perdere la propria identità?