The Room Next Door, un inno alla vita


Chi non ha paura della morte? Martha, ex corrispondente di guerra interpretata da Tilda Swinton sembra aver serenamente accettato la sua diagnosi di cancro terminale e si prepara a vivere gli ultimi momenti della sua vita. Ritrova dopo anni di silenzio la migliore amica di un tempo, Ingrid, una Julianne Moore fragile e umana, ora scrittrice di romanzi autobiografici. Ingrid, al contrario è spaventata dalla morte. Lo è al punto che, quando Martha le chiede di restare nella stanza accanto alla sua quando deciderà di ingerire una pillola procuratasi sul deep web che le permetterà di morire una volta arrivato il momento, Ingrid rifiuta e passa invece le sue giornate insieme a lei, chiacchierando del più e del meno, ricucendo le estremità del loro rapporto interrotto.
La stanza accanto, traduzione del titolo originale The Room Next Door è l’adattamento del romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, primo lungometraggio in lingua inglese di Almodóvar dopo il corto The Human Voice che vede protagonista sempre Tilda Swinton. Con questo film, vincitore del Leone d’Oro all’81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista ci parla di eutanasia nel modo più delicato possibile, offrendo anche una riflessione su temi a lui cari quali la libertà di espressione, il femminile e la maternità. Parla sì di morte ma, in fin dei conti, è una celebrazione della vita stessa, per parafrasare le parole delle due attrici protagoniste, che risplende di colori vivaci e di speranza persino negli ultimi istanti di Martha, sempre sorretta dall’amica Ingrid che, vinti gli indugi iniziali, ha scelto di accompagnare l’amica in questo ultimo viaggio. Restano insieme in una coloratissima casetta isolata in montagna, dove Martha ritrova una quotidianità che non viveva da tempo. Ingrid è tuttavia il personaggio in cui il regista si riconosce maggiormente e che compie un viaggio di consapevolezza: accetta e comprende il desiderio di autodeterminazione di chi prende la decisione di porre fine alla propria vita con dignità, Ingrid siamo noi.


La morte diventa il fil rouge di tutte le sequenze: la sua ineluttabilità permea la pellicola e guida le azioni dei personaggi principali senza scadere nel patetismo. Delle due donne sentiamo i pensieri e conosciamo le emozioni che provano “in attesa della fine”, mentre ripensano affettuosamente a ciò che è stato. Martha attraversa diverse fasi: la falsa accettazione iniziale, la disperazione nel rendersi conto che la chemioterapia non fa effetto, l’apatia e la perdita del piacere e infine, la pace nella consapevolezza di aver perdonato gli errori commessi in passato e che può finalmente lasciarsi andare. Attraverso il percorso di accettazione di Ingrid della scelta di Martha il film porta coraggiosamente avanti la sua tesi e difende chi decide di ricorrere all’eutanasia, tema ancora ampiamente dibattuto.




Se i personaggi sono il cuore della narrazione, anche i luoghi che fanno da sfondo, dall’appartamento di Martha a New York alla casa di montagna che ospiterà Ingrid e Martha nella seconda parte del film sono simbolici. L’appartamento di Martha è stato casa per lei: raccoglie i ricordi di una vita intera e della relazione difficile con la figlia, eppure la respinge e fugge altrove, per poi ritornarvi in preda alla confusione della malattia, non ancora pronta a lasciarla definitivamente. La casa di montagna in cui Martha sceglie di morire è singolarmente arredata con mobili e carta da parati dai colori vividi e così pure gli abiti delle due donne si fanno coloratissimi e sgargianti, in contrasto con il sentimento di perdita e di fine che questo trasferimento acuisce.
La narrazione principale è inoltre impreziosita dai ricordi di Martha dei suoi viaggi per scrivere reportage, il tutto raccontato da una fotografia eterea, pulita che quasi ci porta in un altro mondo. Concorre a creare nello spettatore una sensazione di straniamento anche il linguaggio usato dalle due protagoniste, un inglese, a detta di Swinton “poetico”, specchio di una visione della lingua del regista che ne crea una versione personale per raccontare la sua fiaba sulla perdita e sulla vita. Sul finale il cerchio si chiude con la morte di Martha, e il personaggio di Ingrid deve affrontare un’ultima prova, ma è chiaro, ormai, che la sua vita è cambiata per sempre, così come la sua visione di “fine” e di “tragedia” hanno subito una rivoluzione. La scomparsa di Martha è dolorosa ma la sua determinazione resterà viva nei ricordi di Ingrid e nei nostri.