Tra l’onirico e il sinistro - Orfeo, un viaggio tra le tecniche di animazione, gli spettri e le fantasie.
Onirico, sinistro, a tratti grottesco e a metà tra la verità e la fantasticheria. Queste sono le prime impressioni di Orfeo, film diretto da Virgilio Villoresi, presentato come fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2025. Ispirato a Poema a fumetti di Dino Buzzati, qui il mondo fatto di corpi vivi, che amano, piangono e suonano si fonde con un mondo a disegni. Fondendo vari linguaggi dell’animazione, tra cui Stop-Motion e found footage, carta, pupazzi e marionette prendono sempre più spazio a mano a mano che si discende negli inferi. L’intensità del film risiede proprio nelle scelte usate per rappresentare l’onirico e l’inferno: non la classica caverna immersa nelle fiamme ma una casa infestata dai fantasmi, dove il reale è un lontano ricordo. L’animazione è la chiave per rappresentare il mondo dei morti contrapposto a quello dei vivi. Grazie ad un'ottima regia, il film unisce tante diverse tecniche di animazione per creare un mondo dove ogni cosa è fuori posto ma in perfetto ordine, dove si supera il confine tra immaginato e vero per far sì che le fantasie trovino libertà. Orfeo (Luca Vergoni) giovane pianista, scorge ad una serata al bar dove è solito suonare, il polypus, la giovane Eura (Giulia Maenza). Il loro giovane amore da subito intenso è però destinato a non essere consumato, a svanire e lasciare un ricordo doloroso. Orfeo non si dà pace, tormentato dalla scomparsa della sua amata. Una sera però ne scorge lo spettro. Da qui inizierà il suo viaggio all'inferno. Conturbante, sinistro e affascinate l’inferno è un continuo gioco: fino a dove si è disposti a spingersi anche solo per rivedere per un’istante l’unico amore che da senso alla nostra vita? La trama per quanto intensa lascia però spazio alle immagini nel loro stato più essenziali: piccoli momenti dove il torpore e la meraviglia sono protagonisti, dove il cinema è prima di tutto una esperienza di stupore. La storia si fa quasi da parte in favore delle immagini e della loro potenza evocatrice, andando a creare un magico viaggio attraverso scheletri danzanti che marciano nel nulla, streghe senza un corpo ma con i capelli lunghissimi, diavoli che sono solo delle giacche e gironi infernali rappresentati da inquietanti poltrone. La dimensione tattile travolge lo schermo facendoci percepire la visione come una vera e propria esperienza materica. L’animazione non è fatta solo per diversificare il mondo vivente degli inferi ma è una scelta narrativa: man mano che si scende all'inferno, al flusso della narrazione segue un accumulo di apparizioni oniriche, ognuna con la sua specifica tecnica di animazione, che porta carattere e specificità alla scena. La chiave vincente del film risiede proprio in questo: un accumulo di situazioni surreali e fantastiche che, scortando Orfeo attraverso gli inferi, ridisegna la trama classica in un miraggio spettrale e romantico. Orfeo è l’esempio di come un mito possa essere traslato su ogni dimensione, realizzando una proporzionata rappresentazione di fantasia, paure, sogni e desideri di cui è ossessionato l’animo umano.