Una questione di prospettiva - Godard e La chinoise

Mattia Bertan

3/4/20254 min read

<<The silence of the infinite space. It's not the silence that scares me, it's the sound and the fury.>>

Facciamo un gioco: se vi viene chiesto di dire la prima immagine che vi balena in testa nominando gli anni 60’, che cosa vedete? Qualcuno potrebbe dire i Beatles, altri il boom economico, altri ancora i jeans, le contestazioni studentesche, Woodstock e chi più ne ha più ne metta. Prendendo tutti questi spunti e traendone una conclusione, in realtà affatto inaspettata o sconosciuta, possiamo definire gli anni 60’ come anni di cambiamento sociale, culturale, politico ed economico. La chinoise, ou plutôt à la chinoise: Un film en train de se faire, nasce da questo contesto socioeconomico straordinario e, tramite la genialità del regista Jean-Luc Godard, riesce a far respirare allo spettatore l’aria di cambiamento della Parigi di quegli anni.

La trama è molto lineare. Le vicende seguono la fondazione e attività di una cellula terroristica a stampo maoista chiamata Aden-Arabie, ispirata dall’omonimo romanzo di Paul Nizan, da parte di cinque studenti di origine borghese durante la pausa estiva dalle lezioni universitarie. I giovani rivoluzionari sconvolgono gli spazi dell’appartamento dei genitori di Veronique, trasformandolo in un laboratorio politico. Qui organizzano dibattiti e lezioni, spesso in continua contraddizione l’uno con l’altro, riflettendo sulla realtà politica a loro circostante e citando testualmente la base fondante della loro dottrina, il libretto rosso di Mao Zedong.

L’insieme dei personaggi vuole rappresentare tutte le sfumature della sinistra rivoluzionaria partendo dall’estrema violenza di Veronique al pacifismo moderato di Henri, il quale sarà costretto ad abbandonare la cellula. Gli altri tre personaggi sono: Guillaume, attore teatrale che incarna l’idealismo politico, Yvonne, figura pragmatica dalla visione concreta, e Serge, artista che rappresenta il nichilismo.

Parlare a 360 gradi di questo lungometraggio non è cosa facile. Dovendo fare una selezione, e tenendo conto della natura del tema di questa newsletter, è interessante una piccola riflessione su quelli che sono possibili “punti di vista”. Quante volte durante la visione di un film, capita di identificarsi con un personaggio in particolare, in questo modo simpatizzando con le sue azioni, scorrette o meno? Se l’unico scopo è intrattenere lo spettatore questa potrebbe rivelarsi una tecnica positiva. Il problema nasce quando il film vuole veicolare un messaggio, morale o politico che sia, e che deve essere colto da tutti in maniera il più oggettiva possibile.

Godard era ovviamente cosciente del problema e ripudiando la “macchina hollywood” rifugia in un concetto recuperato dal teatro di Bertold Brecht ovvero l’effetto “alienazione”.

Lo scopo non è per l’autore far identificare lo spettatore con i personaggi della sua opera, giammai! Se al cinema colgo degli elementi simpatetici alla mia persona, siano essi fisici, caratteriali o di circostanza, questi vengono elaborati al livello di subconscio e non permettono un’analisi critica dei contenuti trasmessi. Ecco perché ne La chinoise, vengono inseriti momenti di stacco come una melodia inaspettata nel bel mezzo di un discorso o i personaggi si rivolgono direttamente allo spettatore. Ad esempio, in una scena l’inquadratura viene girata di 180 gradi mostrando il cameraman in azione e, di conseguenza, il pubblico dietro lo schermo. Sono proprio queste tecniche che, schermando lo spettatore da un'identificazione soggettiva, permettono di analizzare criticamente ed oggettivamente, minuto per minuto, i veri contenuti del film.

Solo in questa maniera per Godard era possibile lanciare un messaggio politico come quello contenuto in questa pellicola. Ma quindi, excursus filosofico fatto, qual è questo messaggio?

In maniera molto simile a quanto avviene nei grandi romanzi dell’esistenzialismo francese come La peste di Albert Camus, morto solamente sei anni prima dell’uscita del capolavoro cinematografico, un messaggio chiaro e limpido non viene dato. La chinoise non si limita a fornirci una soluzione ad un problema o a far passare un giudizio morale alle azioni compiute durante la trama; ciò che fornisce sono spunti di riflessione proprio su ciò che è intrinseco al significato di “seguire pedissequamente una linea”, come quella dettata da Mao. Per i membri della cellula Aden-Arabie, il libretto rosso è la risposta a tutto, il messaggio chiaro e limpido che non può che essere seguito, pena l’espulsione come nel caso di Henri.

i CCCP Fedeli alla linea, oltre ad essere uno dei i gruppi punk italiano con un background culturale di particolare spessore, possono venire in soccorso per delineare, il giudizio di Godard rispetto alla cellula Aden-Arabie:


<<Fedeli alla linea, anche quando non c'è

Quando l'imperatore è malato

Quando muore o è dubbioso o è perplesso

Fedeli alla linea, la linea non c'è>>


Questa è la seconda strofa della canzone CCCP, datata 1986 ed esprime un comportamento molto specifico: la linea, direzione del PCI, sarebbe sempre stata seguita, anche nella sua ipotetica mancanza. Cieca fiducia, a prescindere da contenuti e dalla condizione storica. Di per sé, non conoscendo i dettami di questa linea, è difficile esprimere un giudizio positivo o negativo a riguardo. Ed è proprio questo il messaggio di Godard per gli spettatori, non una critica alla dottrina politica di Mao, che del resto era seguita ed apprezzata dal regista stesso, ma una messa in guardia dal seguirla ad occhi chiusi, senza un ragionamento.

Alla fine il messaggio che il regista francese lascia potrebbe essere questo: mettere in discussione tutto, soprattutto la linea che si vuole seguire.